Relazione di “Dall’albero al labirinto studi storici sul segno e l’interpretazione”

Dizionario ed enciclopedia sono due modi per individuare rappresentazioni semantiche rinvianti la realtà. Il modello a dizionario descrive il sapere di una lingua, l’essenza di un qualcosa tale da distinguerla da ogni altra cosa, senza entrare nel merito delle particolarità di cui si occupa, invece, il modello ad enciclopedia, che descrive il sapere del mondo p. 13. Forma pura di dizionario è l’albero porfiriano (Porfirio, Isagoge, III secolo d. C. commento alle Categorie aristoteliche) p. 14. Aristotele dice che ciò che si definisce è l’essenza, la forma sostanziale, cioè ciò che benché sia estendibile oltre il proprio soggetto, assieme a tutti gli altri attributi sostanziali, dia forma alla stessa estensione del soggetto: per es. il tre ha l’attributo dell’essere come tutto, ma ha anche quello della disparità estendibile solo al numero e non oltre esso. Animale, razionale e mortale rinvia solo al concetto uomo. Per Porfirio ogni predicabile (tutto ciò che può essere predicato di qualcosa) stabilisce il modo della definizione di ciascuna categoria aristotelica, quindi sono possibili dieci alberi diversi. A differenza dei quattro predicabili aristotelici (genere, proprio, definizione e accidenti) quelli porfiriani sono cinque (genere, specie, proprio, differenza e accidente) in cui la differenza viene inclusa perché sola riesce a definire distinguendo. Aristotele non la contempla perché assieme al genere costituisce la definizione; la definizione non è necessaria se c’è la specie. Ogni genere posto a nodo dell’albero comprende la specie che ne dipende, ma l’albero non può essere composto solo di genere e specie perché è la differenza (razionale-irrazionale) l’elemento cruciale per la definizione. Gli accidenti non sono richiesti per produrre la definizione: le differenze posso essere separabili dal soggetto ed essere quindi accidentali, o inseparabili, nel qual caso possono essere sia accidentali (naso camuso) che appartenere al soggetto d per sé (la capacità di ridere nell’uomo). Queste sono le differenze specifiche che col genere danno la definizione della specie. Quando due generi sono subordinati ad un genere superiore, possono avere le stesse differenze. Se la differenza ricorre più volte viene meno la purezza logica dell’albero, che diventa una struttura sensibile ai contesti, perdendo l’assolutizzazione pretesa dal dizionario. Un albero a gerarchia fissa non definisce ma classifica: tassonomia, non fornisce il significato dei termini, ma solo l’appartenenza ad un genere e sottogenere. Il significato dei termini dipende dalle differenze e non dai generi p. 25. non si possono irregimentare le differenze sotto ad un albero perché sono indefinite per numero. Tommaso escogita una soluzione geniale al problema inserendo le differenze essenziali, cioè una sorta di differenza trascendentale che rinvia alle differenze specifiche che solo possiamo conoscere e intuiamo come segni delle più perfette differenze essenziali. L’EFFETTO È SEGNO DELLA CAUSA. IL DIZIONAARIO SI DISSOLVE NELLA CONOSCENZA DEL MONDO CHE SOLO L’ENCICLOPEDIA Può SIGNIFICARE. Nel secolo XX si è tentato di riabilitare il dizionario (Hjelmslev), ma si è capito che non si possono racchiudere i lemmi in poche nozioni primitive.

Le prime accezioni del termine enciclopedia vengono dalla tradizione greca enkyklios paideia, cioè educazione completa, diversamente dall’albero porfiriano, quello enciclopedico ad ogni nodo rinvia a nozioni definitorie e non costringe il lettore a muoversi dal generale al particolare come per il dizionario. Nel I secolo d. C. Plinio il Vecchio recensì oltre 20.000 fatti attingendo da più di 500 autori dando luogo alla prima enciclopedia che ci è pervenuta intera, in cui ogni termine viene spiegato non privilegiando la realtà al mito perché solo conoscendo tutto ciò che si crede ci sia si può conoscere il mondo. Oggi nelle enciclopedie realtà e mito vengono scisse criticamente, ma comunque per conoscenza viene spiegato anche il mito. Nelle enciclopedie medievali oltre alla conoscenza del mondo vi era l’intento filologico esegetico di capire le sacre scritture che attraverso figure retoriche (metafore) indicavano la strada giusta per il credente. L’ordine classificatorio aveva sicuramente una funzione mnemonica per i lettori dell’epoca, dato che a noi quest’ordine risulta alquanto bizzarro. L’ordine assume importanza nel XIII- XIV secolo con l’Albero della scienza di Raimundo Lullo. Tra Rinascimento e Seicento la classificazione non rinviava alla realtà quanto al sapere attorno alla realtà. Nell’enciclopedia del 1503 di Gregor Reisch, Margarita philosophica, l’autore elabora un indice arboriforme che riempirà di nozioni enciclopediche. Anche il lavoro di Pierre de Ramée (Pietro Ramo) del 1555, ripreso nel 1620 da Johann Heinrich Alsted propone un ordine senza ripetizioni e omissioni di tutte le parti del sapere. Ma come giustamente sottolinea Walter Tega in 1 prisma di Alsted (1999), lo scibile non si può rinchiudere, il sapere non è mai completo e l’enciclopedia, dal lavoro di Francis Bacon, verrà basata sui dati derivati dall’esperienza (empirismo).

 

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Il quantitativo in storia di Francois Furet, in Fare storia temi e metodi della nuova storiografia a cura di Jacques Le Goff e Pierre Nora

Con storia quantitativa si intendono una serie vastissima di accezioni che vanno “dall’uso critico di un censimento, all’utilizzazione sistematica di modelli matematici nella ricostruzione del passato” p.3. Ma la storia non può essete ridotta a semplice studio di dati statistici. La storia è una disciplina indeterminabile sia concettualmente che a livello d’analisi. La storia non sfugge allo studio del tempo nella dimensione diacronica dei fenomeni. L’ambizione della storia quantitativa “consiste nel costruire il fatto storico in serie temporali di unità omogenee e confrontabili” p. 5. L’evoluzione analizzata in questo modo, viene definita da Pierre Chaunu storia seriale, la quale permette di sostituire all’avvenimento storico la ripetizione regolare dei dati selezionati e, suddividendo la realtà in serie, lascia allo storico la libertà di decidere se e come interrelazionare il materiale scomposto nei vari  livelli. Questo aggiunge rigore alla metodologia qualitativa tradizionale ma è impotente di fronte a settori di realtà storica che non hanno continuità temporale come per es. fonti perse o frammentarie. Resta comunque un buon metodo per l’identificazione della storia con il mutamento.

L’elaborazione dei dati per la costruzione di serie confrontabili deve però affrontare il probema delle fonti: in generale gli archivi europei costituiti ed ordinati nel secolo XIX riflettono le preoccupazioni ideologiche del tempo, dando maggior attenzione ai valori nazionali e alla testimonianza sull’avvenimento piuttosto che sulla durata. I dati della storia quantitativa, invece, non rimandano alla “delimitazione di un fatto dall’esterno, ma a criteri di coerenza interni: il fatto non è più l’avvenimento scelto perchè scandisce i tempi forti di una storia, il cui senso è stato definito preliminarmente, ma un fenomeno scelto ed eventualmente costruito in funzione del suo carattere ripetitivo, quindi comparabile attraverso una unità di tempo” p. 9. Le possibilità tecniche dell’elaborazione dei dati aumentano con l’aumentare dell’informatica e rimandano ad un nuovo sistema di classificazione e ad una nuova critica documetaria. Il dato ora esiste in rapporto ad altri dati precedenti e susseguenti “ciò che diventa obiettivo è il loro valore relativo e non il loro rapporto con una inafferrabile sostanza reale” p. 9. La rivoluzione tecnologica portata dal computer ha moltiplicato l’esplorazione di queste serie di dati. L’elasticità straoridinaria della documentazione storica permette di poter scoprire cose nuove ricercando su documenti già utilizzati per altri fini: i registri delle parrocchie sono diventati materiale interessantissimo per analizzare antiche società preindustriali; serie demografiche studiate dal punto di vista della contraccezione possono illuminare problemi di mentalità; atti notarili possono rivelare il livello di alfabetizzazione…ancora moltissimo c’è da recuperare perchè è la problematica di partenza che definisce le proprie fonti. E’ lo storico che costruisce i fatti e l’oggettività della sua ricerca dipende dalla correttezza dell’elaborazione dei suddetti fatti e dalla loro pertinenza in rapporto alle ipotesi della sua ricerca. La storia seriale è una rivoluzione della coscienza storigrafica. Lo storico con la propria interpretazione dei dati trasforma l’oggetto della ricerca, il tempo: per es, nella storia evenemenziale il fenomeno viene descritto come oggetto unico ed irripetibile, non inseribile in statistiche, quindi storia per eccellenza. Spesso, è un avvenimento politico-filosofico che crea un’ideologia con fini teleologici. Perchè sia intelligibile necessita di una storia globale definita indipendentemente da esso. Da qui la concezione classica del tempo come una serie di discontinuità legate dalla narrazione. Al contrario, la storia seriale descrive continuità in forma discontinua e scompone le concezioni preliminari della storia globale mettendo in discussione la pretesa sincronia degli eventi. La storia seriale importa concetti da altre scienze sociali come l’economia politica per rinnovarsi. Quindi la storia seriale consente di formulare ipotesi confrontabili, ma perde di vista la pretesa della storia, intesa in senso classico, di cogliere la totalità delle cose. Per Marc Bloch la totalità va certamente tenuta come orizzonte storico, facendo attenzione a non cadere nell’illusione teleologica, ma non la si pu più utilizzare come punto di partenza d’analisi. La storia contemporanea delimita l’oggetto della propria ricerca, definisce le ipotesi tramite la descrizione delle fonti storiche, ma ciò non implica che debba limitarsi all’analisi microscopica di un’unica serie cronologica. Infatti può raggruppare più serie e costruire un sistema, anche se  l’analisi globale di un sistema-dei-sistemi è di là da venire. Se confrontiamo per es. serie demografiche con quelle economiche possiamo scoprire nuove congiunture, nonostante i dati in nostro possesso rimangono gli stessi che si avevano prima del confronto. Il movimento periodico (l’avvenimento) non è per definizione contrapposto ad una teoria dell’equilibrio generale. La storia si contraddistingue dalle altre scienze sociali per l’ampiezza e la indeterminatezza del suo campo di ricerca. L’economia ha certo costituito il campo prioritario dell’indagine quantitativa, ma l’uomo non è solo un agente economico p. 21. L’analisi politico-ideologica delle società del passato va fatta non estrapolando dalla vita culturale lo sviluppo economico, ma descivendo l’attività umana, diversa dai processi oggettivi economici, secondo le diverse realtà storiche a cui si rifanno i diversi modi di appropriazione del tempo.

Due dei principali scopi storiografici sono: a) rivedere le periodizzazioni globali tradizionali, che sono un retaggio ideologico del secolo XIX in cui si presupponeva ciò che si andava a dimostrare, ossia l’evoluzione concomitante dei vari elementi di un sistema; b) distinguere in un insieme di dati di natura diversa quelli in evoluzione da quelli inerti sul medio-lungo periodo. Per fare questo occorre analizzare i ritmi differenziali d’evoluzione di un dato insieme storico.

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relazione del testo storia della globalizzazione

cap 3°: Il sistema-mondo di Wallerstein dette origine a delle critiche secondo le quali non fu il ‘500 il sec. dell’inizio della storia globalizzata. Infatti,  secondo i detrattori, si può già parlare di sistemi-mondo per i sec. precedenti retrodatandoli addirittura a 5000 anni fa. Uno degli elementi per l’integrazione macrospaziale dei tempi antichi fu l’aggregazione di molti territori sotto l’egemonia di un potere centrale. Questa unione d’intenti non fu però caratterizzata dalla reciprocità, quanto piuttosto dalla forza coercitiva. Alro elemento fu l’ecumene religiosa, molto più ampio il suo raggio d’azione e meno determinanti i confini politici. Ultimo elemento furono i vincoli del commercio a distanza che, se non erano propriamente delle reti, crearono ad ogni modo legami stabili anche nelle società contadine apparentemente immobili. La stessa concezione del periodo medievale era concepita come un intervallo buio tra classicismo e neoclassicismo e solo negli ultimi decenni è stata rivalutata come periodo di grandi attività commerciali. Un ultimissimo elemento che rivelerebbe la costante dell’integrazione macrospaziale furono le migrazioni sempre presenti nella storia dell’umanità, ma la mancanza di pianificazioni regolari di questi spostamenti pre-moderni toglie loro la caratteristica globale. Due momenti importanti di forte integrazione macrospaziale medievali furono l’epansione di una nuova religione monoteistica ai confini dell’impero bizantino che si diffuse molto rapidamente dall’Andalusia all’Uzbekistan nell’ottavo secolo, in concomitanza alla ripresa di potere dell’impero della dinastia cinese Tang. E sei secoli più tardi l’espansione del potere nomade dei cavalieri mongoli unitisi sotto l’egida di Gengis Khan nel 1206. Il XIII sec fu in effetti il secolo in cui si crearono spazi di migrazioni mai visti prima e dinamiche causa-effetto che coprirono tutta l’area degli scambi commerciali. La diffusione della peste bubbonica fu senz’altro un effetto di questo macrosistema, ma non gli si può dare l’edificazione di una struttura mondiale. Dopo il XIII sec l’interesse reciproco che accomunava cristianità e islam diminuì sensibilmente. La separazione delle confessioni interne all’ecumene cristiana, paradossalmente delimitò più marcatamente i confini col mondo islamico. Queste due realtà ebbero comunque una propensione verso l’esterno molto più spiccata di quella mostrata da Cina e Giappone. La nascita degli Stati dell’Europa occidentale li diversificava dagli imperi plurinazionali inglese, francese e spagnolo. Dopo la pace di Vestfalia del 1648 ottenuta tramite il consenso delle parti e non calata dall’alto, fu però molto meno efficace della garanzia offerta da una monarchia imperiale. L’ordine vestfalico non comprendeva l’area esterna all’Europa occidentale, non aveva un’ottica globale. La periodizzazione dell’inizio della modernità è una convenzione non estendibile a tutto il globo. Ci sono degli eventi che si possono considerare fondativi di questa convenzione, come 1) il viaggio di Vasco de Gamaverso l’India del 1498 che, se non fu né il primo né l’ultimo, fu l’inizio dell’insediamento portoghese del “capitalismo della corona”  militarizzato in reti commerciali locali in possedimenti su tutta la costa asiatica. 2) la formazione dell’impero all’interno dell’ecumene islamica indusse gli europei a varcare l’oceano andando a produrre processi espansionistici che condussero alla nascita di unità politiche più ampie. Un tratto comune di questi porcessi fu la diffusione delle nuove tecniche di artiglieria. 3) La distruzione delle strutture politiche autoctone americane. 4) La distruzione delle popolazioni autoctone americane da parte dell’arrivo degli europei causato anche dalla contaminazione di nuovi virus. Il Nuovo Mondo fu incluso nei traffici euroasiatici-africani andando per altro ad alterare profondamente la natura dei coloni, con l’introduzione di nuove colture (mais, patata). 5) L’invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg che permise la diffusione del sapere illimitatamente.

La scoperta e la colonizzazione dell’America, la rivoluzione delle tecnologie militari e di comunicazione crearono i presupposti per l’ampliamento degli spazi d’interazione. Nell’Atlantico gli europei non avevano nemici da combattere e la loro superiorità tecnologica non diede limiti alle loro ambizioni. Lo sfruttamento sia umano che delle risorse naturali americane mise in contatto i paesi delle tribù africane con le piantagioni brasiliane e le sale da tè europee. La prima rete commerciale che trasformò davvero il mondo fu quello dell’argento estratto dall’America verso le Filippine, per poi venir impotrtato dalla Cina, per mezzo di galeoni che navigando attraverso il Pacifico  espunsero l’Europa. L’argento pervenuto in Cina favorì il processo di monetizzazione e una ripresa economica dell’impero.

Ancora non si può parlare di piena globalizzazione. Le crisi economiche non si propagavano di paese in paese (come la peste), e a parte la diffusione delle armi da fuoco, il mondo continuava ad essere policentrico. Quella europea era l’unica civiltà di viaggiatori ed espoloratori e di scambio culturale si può parlare solo in un’accezione molto ristretta, nonostante gli sforzi dei gesuiti.

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JUNGER OSTERHAMMEL insegna storia contemporanea all’Università di Costanza, nel campo della storia non europea e della storia dell’espansione europea. Le sue ricerche hanno una prospettiva globale. NIELS P. PETERSSON è stato assistente all’Università di Costanza, ora è professore di storia alla Sheffield Hallam University.  
cap 1°: Questo termine sembrerebbe definire la nostra epoca in riferimento all’esperienza concreta di molte persone sia in ambito delle comunicazioni che in quello del consumo, in cui il gioco della domanda e dell’offerta operano a livello mondiale. Compito degli storici è riuscire a descrivere i fatti individuandone cause ed effetti. Tutte le “izzazioni” indicano processi molto ampi, di lunga durata e con un portato trasformatore considerevole. La questione è capire se la globalizzazione possa rientrare a pieno merito nel metaconcetto della modernizzazione. La sfida è cercare di guardare al passato in modo nuovo a partire dalla prospettiva della globalizzazione: le interconnessioni internazionali giocarono un ruolo più importante di quanto la storiografia classica non abbia sottolineato? La globalizzazione richiama l’intensificazione e l’accelerazione delle relazioni su scala mondiale e il problema che si pone è se questo processo implichi il declino dello stato nazionale e l’omologazione culturale. Sostenitori e detrattori della globalizzazione sono concordi nell’affermare che il rapporto di potere tra Stati nazionali e mercati volge a favore dei mercati, le multinazionali, che sfruttano le condizoni economiche più favorevoli evitando la pressione fiscale del loro  Stato d’origine, pregiudicandone, quindi, gli interventi economici e sociali. L’omogeneizzazione culturale viene combattuta dai movimenti per la salvaguardia delle culture tradizionali, però usufruendo degli stessi mezzi che vorrebbero boicottare. Roland Robertson definisce questa concidenza di omogeneizzazione ed eterogeneizzazione col termine glocalizzazione, ossia un processo di ibridazione, in cui elementi culturali nuovi si mescolano con quelli tradizionali. La velocità e la frequenza delle comunicazioni e degli spostamenti ha indotto molti interpreti a descrivere la globalizzazione come una compressione spazio-temporale, da cui derivano la deterritorializzazione e la sovraterritorietà, cioè la tendenza al dissolvimento della statualità legata allo spazio. Due dei maggior interpreti di questa linea di pensiero sono Martin Albrow(concetto di globalismo)  e Manuel Castells (l’idea di società di rete).  Secondo David Held, James N. Rosenau, Ian Clarke, invece, la globalizzazione è un processo in atto già da lungo tempo, che non dissolve la sovranità statale, ma la trasforma profondamente. Questi vedono la globalizzazione come un fenomeno del passato più recente, che si fonda comunque su processi politici, economici e militari di lunga storia.  A ciò non mancano gli scettici della globalizzazione, Paul Hirst e Grahame Thomposon, che la interpretano come una copertura ideologica delle stategie americane per il controllo economico. Noi come storici dobbiamo chiederci non quando ebbe inizio la globalizzazione, quanto piuttosto trovare un accordo sul concetto di tale termine che non sia pedante o indeterminato per riuscire ad orientersi nella lettura del passato senza presupporre il risultato della ricerca.
cap 2°: L’uso del termine globalizzazione in senso proprio è cosa degli ultimi decenni, ma, come è ovvio osservare, può essere solo il risultato di un lungo processo che gli storici hanno analizzato riferendosi a studi di economia mondiale, ricerca delle migrazioni, relazioni internazionali e imperialismo-colonialismo. Quest’ultima è, in modo particolare, fonte importante per la storia della golabalizzazione. La differenza tra storia mondiale e storia globale è che la prima tende ad analizzare la storia delle diverse civiltà  con particolare attenzione alla loro comaparazione, invece la storia globale fa una disamina sulla storia dei contatti e degli scambi tra queste civiltà. Si contrappone all’idea di esaurirsi nella storia dell’ascesa dell’Occidente, tendendo piuttosto ad interrogare trasversalmente le varie storie nazionali, esaminando le relazioni tra i popoli a prescindere dalla politica di potenza, addirittura anche non connesse direttamente con la globalizzazione. Immanuel Wallerstein dal 1974 sta elaborando una teoria per il concetto di “moderno sistema-mondo” e finora ha attuato il progetto di ricerca per il periodo che va dal 1500 al 1850. Non è ancora arrivato ai rapporti realmente globali, quindi, il suo approccio del sistema rimane un’interpretazione dell’espansione capitalistica europea, ma i seguenti aspetti possono rivelarsi assai utili: 1) l’idea di una scala di piani di ricerca che va dal sistema-mondo sino all’economia domestica senza dare preminenza allo Stato; 2) l’idea di una continua espansione dei confini politici; 3) il concetto di semi-periferia. Un modo per accostarsi alla preistoria della globalizzazione senza adottare questo approccio “dall’alto” ci viene dato dagli studi antropologici, nei quali le storie parallele delle singole civiltà si intrecciano in una rete d’interazione grazie a politiche matrimoniali, legami religiosi e flussi finanziari. Però anche in questo     approccio le reti relazionali non sono coincidenti (parti del tutto), è quindi preferibile studiare le connessioni mondiali sul terreno dell’agire individuale. Nell’analisi economica mondiale dei primi del Novecento già si parlava di reti sociali, ma non ogni rapporto sociale costituisce di per sé una rete, che per essere deve presupporre un certo grado di stabilità e di sostegno istituzionale. Secondo Castells, infatti, solo nell’epoca presente sono disponibili gli strumenti con cui costruire le strutture portanti e gerarchiche della vita economica e sociale, in cui il sistema di potere diventa meno visibile ma più pervasivo veicolando i modi del pensiero sociale, mentre secondo “la teoria delle relazioni internazionali” di John W. Burton i rapporti sociali sono strutturati come una “tela di ragno”, a prescindere dai poteri e dai confini politici. Un limite nella nozione di rete consiste nell’appiattimento dell’intensità delle interazioni sociali. In questo caso  la rete, intesa in senso lato, oltrepassa i confini esistenti, ma niente gli impedisce di crearne di nuovi. Su questo fronte l’insistenza di Wallerstein sulle contraddizioni tra centro e periferia agisce in senso correttivo: gli scambi, infatti, non si distribuiscono uniformemente su tutto il territorio; si creano degli spazi d’interazione più intensa ed è in questi spazi che si fa la storia della globalizzazione. Non si deve banalizzare questo dato con la dipendenza di tutto da tutto. A volte non vi è reciprocità negli scambi (schiavi, periferia-città-periferia), anche se essi creano una rete transcontinentale, occorrono un certo numero di filiere simili e un buon grado di reciprocità perché sorgano spazi d’interazione economica globale. Quindi il termine globalizzazione, inteso come intensificazione degli scambi, perde il significato statico che si vuole dare per delimitare la nostra epoca. Il processo della globalizzazione si estende lungo migliaia di anni. Con Wallerstein sosteniamo che l’avvio della globalizzazione sia cominciato con la costruzione degli imperi coloniali portoghese e spagnolo del 1500 circa e colla consecutiva interdipendenza multilaterale. Una intensificazione del processo si ebbe con la rivoluzione industriale che comportò la dissoluzione degli imperi coloniali in favore del libero commercio e dell’esportazione del modello istituzionale europeo. Successivamente le volontà nazionali sviluppatesi in modo preponderante tenderanno a intendere l’economia mondiale in funzione della potenza nazionale, andando così ad incrinare il processo globalizzante almeno fino alla fine della II Guerra Mondiale, quando la ricerca di ricostruzione portò alla nascita dei due blocchi di potere alternativo. 
 
Pubblicato il da silviagarbari | 1 commento

Protetto: foto laurea dal bio

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